Il SIPRI, Stockholm International Peace Research Institute, è un ente indipendente di ricerca che si occupa di peace studies, cioè di indagini scientifiche che hanno come scopo finale la costruzione di tecniche e di procedure per la risoluzione pacifica dei conflitti e per il mantenimento di una pace stabile.
Il SIPRI è stato fondato nel 1966: ha dunque appena compiuto cinquant’anni ed è stato festeggiato persino con un discorso tenuto da Sua Maestà il re di Svezia, Carl XVI Gustaf.
Il SIPRI produce diversi testi di analisi e, in particolare, un rapporto annuale di sintesi che descrive, tra le altre cose, lo stato del commercio internazionale di armi.
Nell’ultimo rapporto, che considera dati riguardanti gli anni tra il 2011 e il 2015, operando anche confronti con il periodo tra il 2006 e il 2010, si trovano alcune interessanti notizie che possono destare curiosità e suscitare riflessioni non meno interessanti.
Citiamo subito quanto rilevato sulla tendenza delle vendite internazionali delle principali armi: negli ultimi tre anni si è senz’altro assistito a un aumento dei flussi internazionali. Il mercato è quindi in crescita, magari non clamorosa ma comunque netta. Ciò potrebbe far pensare al fatto che diversi Stati stiano operando sulla spinta della paura di essere aggrediti dall’esterno oppure con l’intenzione di prepararsi ad attacchi nei confronti di nemici già individuati o da individuare.
Grafici e tabelle riguardanti i principali esportatori di armi confermano il dominio commerciale esercitato dalle grandi potenze USA e Russia, che accrescono ulteriormente le loro fette di mercato; tale crescita di vendite all’estero riguarda anche le imprese costruttrici di armi situate in altri Stati: Cina, Regno Unito, Spagna, Italia, Ucraina; mentre sono in calo le vendite di armi provenienti da Francia, Germania, Paesi Bassi.
Gli USA controllano il 33% delle esportazioni mondiali di armi; i migliori clienti degli USA sono Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Turchia (e chi se lo sarebbe aspettato?). La Russia controlla il 25% delle esportazioni mondiali di armi; i suoi migliori clienti sono India, Cina, Vietnam. Seguono, a grande distanza, altri Stati grandi e piccoli. La Cina sta al terzo posto in questa graduatoria: la sua quota di mercato è del 5,9% e i suoi clienti più importanti sono Pakistan, Bangladesh, Myanmar. Segue la Francia con il 5,6% rivolto per lo più in direzione del Marocco, della Cina e dell’Egitto. Poi la Germania (pur in calo, come la Francia) con il 4.7%, in direzione soprattutto di USA, Israele e Grecia. Segue il Regno Unito con il 4,5% e una sceltissima clientela: l’Arabia Saudita (in quantità nettamente preponderante), l’India e l’Indonesia tra gli altri. Poi arriva la Spagna con il 3,5% e finalmente (in un’ottima ottava posizione) l’Italia, con il 2,7% del mercato. Il nostro Paese vende soprattutto a Emirati Arabi Uniti, India (nonostante le marachelle della magistratura indiana riguardo ai famosi marò), Turchia (grande paese democraticissimo e rispettosissimo delle minoranze entro i suoi confini). In nona posizione l’Ucraina con il 2,6% e in decima posizione i Paesi Bassi con il 2%.
Come si può facilmente osservare, USA e Russia, da soli, detengono il controllo di più della metà del mercato internazionale delle armi. Un’altra utile sottolineatura merita il nostro Paese, in particolare per la scelta oculatissima dei suoi migliori clienti. Quanto alla Cina, la grande fabbrica del mondo, ci stupisce un po’ come, nonostante la crescita delle sue attività, sia ancora notevolmente distanziata, nell’occupazione del mercato internazionale delle armi, da USA e Russia.
Passiamo ora alla considerazione di quali siano i maggiori importatori di armamenti. Una premessa è necessaria, per evitare di incorrere in equivoci: ovviamente i maggiori importatori non sono necessariamente i maggiori utilizzatori di armi da guerra, poiché gli Stati che spendono di più per difesa e guerra (USA, Russia e Cina) sanno benissimo produrre da se stessi gli strumenti bellici necessari e ricorrono quindi non eccessivamente all’acquisto da operatori esteri.
Il primo posto tra gli importatori di armamenti è occupato dall’India, che opera il 14% degli acquisti mondiali; il suo fornitore principale è la Russia. Segue l’Arabia Saudita con il 7% degli acquisti; i suoi fornitori principali sono USA e Regno Unito. Al terzo posto gli Emirati Arabi Uniti, con il 4,6%, che hanno gli USA come fornitore principale; quindi l’Australia con il 3,6% e USA e Spagna come fornitori principali. Seguono, nell’ordine: Turchia, Pakistan, Vietnam, USA, Corea del Sud, Algeria, Egitto, Singapore, Iraq, Indonesia, Taiwan, Marocco, Venezuela, Azerbaigian, Bangladesh. Come si può notare, diversi paesi che non sono grandi produttori di armi in proprio si riforniscono da altri produttori. Come si può altresì notare, i maggiori acquirenti stanno in zone calde del Pianeta, soprattutto in Medio Oriente, dove la guerra fa parte del paesaggio ordinario e della vita sociale e politica di quei popoli. Risulta invece un po’ sconcertante constatare come si impegnino molto in questi acquisti Stati come Australia, Vietnam, Corea del Sud, Indonesia, Singapore, che sono situati in zone apparentemente quasi tranquille. A tale proposito viene da fare una considerazione non troppo rassicurante: forse in quella zona del pianeta, dove già c’è un confronto a tratti duro tra USA e Giappone da una parte e Cina dall’altra, ci si aspetta un inasprimento di toni e la possibilità che conflitti non aperti possano sfociare, in un futuro non troppo lontano, in guerre davvero guerreggiate e non più solo economiche, sotterranee, condotte (come capita attualmente) attraverso piccole azioni paramilitari che servono a provocare il nemico e a sondare la sua capacità e la sua volontà di reagire. Quanto all’India come maggiore acquirente sul mercato mondiale, si può pensare che ciò avvenga soprattutto a causa del fatto che la sua struttura produttiva non sia ancora in grado di fornire un’adeguata quantità di attrezzature militari, mentre le ambizioni geopolitiche dei governi nazionalisti stanno accrescendo l’aggressività di questo grande e popoloso Paese che, con tutta evidenza, pretende per sé un ruolo di grande potenza indiscussa almeno nel Continente Asiatico.
Viene infine da fare un’ultima considerazione: osservando quali siano i maggiori fornitori di armamenti dei Paesi acquirenti (almeno per gli esempi sopra riportati), si nota come gli schieramenti delle diverse parti agenti nel maledetto gioco geopolitico si rispecchino abbastanza fedelmente nella suddivisione della clientela.
C’è chi afferma che i produttori e i commercianti di armi siano tra i principali soggetti che alimentano conflitti interni e guerre tra gli Stati. Sicuramente è loro interesse che il mercato si espanda, che ci siano sempre soggetti disposti a impiegare miliardi di dollari e di altre valute per l’acquisto di ordigni di morte. Tuttavia, questa, che sembra un’ovvietà evidenziata persino dal papa (a proposito: a quando una scomunica, o una cosina un po’ più misericordiosa ma comunque significativa, contro i mercanti di armi?), non possiamo considerarla come causa unica o prevalente del proliferare delle guerre nel mondo. I fattori determinanti sono purtroppo molti e diversificati: interessi di dislocazione geopolitica, necessità di controllo di risorse naturali essenziali, movimento di popolazioni sui territori, ideali religiosi e politici non troppo compatibili, intolleranza razziale ed etnica, semplice prepotenza e volontà di dominio delle classi dirigenti, atteggiamento pecorile di popoli che scaricano le loro contraddizioni e le loro difficoltà su un nemico esterno o, in mancanza di questo, scatenano guerre civili all’interno dei loro confini. In definitiva: i padroni del mondo (politici ai vertici degli Stati e capitalisti dei vari settori produttivi e finanziari) hanno le loro belle responsabilità; ma nessuno può essere considerato innocente.
Dom Argiropulo di Zab